persona medita davanti a pc mindful marketing

Mindful Marketing: quando rallentare paga

Chi ha detto che la vendita debba essere necessariamente una corsa? La competizione - certo - può essere sana... ma se non fai attenzione a sostenibilità, rispetto, trasparenza e autenticità rischi di bruciarti. Il Mindful Marketing si basa su questi 4 valori, che escono dal mondo delle idee per diventare driver economici concreti. Scopri come.
14 Maggio 2025

Il Mindful Marketing è un approccio basato su trasparenza, autenticità, rispetto e sostenibilità.

Tutte belle parole irrealizzabili, vero?

Ma è meglio un mercato enorme e affollatissimo dove gli spot urlano disperatamente per emergere dalla massa? Dove i pop-up invadono le ricerche di chi non sa usare bene internet, creando esperienze disagianti che allontanano dal web e generano sfiducia nei confronti del marketing digitale? C’è chi per farsi notare diventa un fenomeno trash sui social. O c’è chi si brucia tutto, quando escono fuori i suoi scheletri dall’armadio.

scheletro finto mindful marketing

Chi lo dice che la vendita deve essere una corsa? Il mercato? I dati delle vendite? Statistiche che tracciano le opinioni dei consumatori? Gli studi di neuromarketing?

Diversi dati ci dicono invece che rallentare paga. E che pagano pure trasparenza, autenticità, rispetto e sostenibilità… certo: a patto che non si esercitino solo a parole.

6 studi a supporto del Mindful Marketing

Da 6 studi compiuti da diverse aziende, enti e università, negli Stati Uniti e in Regno Unito, in un quadro di 3 anni, esce fuori che i consumatori sono più inclini a scegliere aziende autentiche, trasparenti, rispettose e che esercitano la sostenibilità. Sostenibilità – ben inteso – non solo a livello ambientale. Parliamo anche di come l’azienda tratta i dipendenti o della natura delle sue pubblicità. Questi 6 studi a supporto del Mindful Marketing ora li esploriamo.

E, se vorrai consultarli, ti basta cliccare sul titolo del paragrafo dedicato.

1) McKinsey & NielsenIQ (2023)

Questo studio analizza cinque anni di dati di vendita negli Stati Uniti coprendo 600.000 SKU (lo SKU è il codice che si assegna ai prodotti nei magazzini) e 400 miliardi di dollari di ricavi al dettaglio.

I prodotti con claim ESG (sigla che sta per ambientale, sociale e di governance) mostrano una crescita cumulativa del 28% rispetto al 20% dei prodotti non sostenibili, rappresentando il 56% della crescita totale del mercato.

Inoltre, il 60% dei consumatori intervistati è disposto a pagare un surplus per imballaggi sostenibili. Sostenibilità, considerata dal 78% degli intervistati uno stile di vita importante.

2) Deloitte (2023)

Questo rapporto si basa su un sondaggio di YouGov su oltre 2.000 adulti britannici ed evidenzia le abitudini sostenibili più diffuse:

  • il 73% delle persone intervistate dichiara di riciclare,
  • il 68% dichiara di ridurre gli sprechi alimentari,
  • il 61% di limitare la plastica monouso,
  • e il 51% di acquistare prodotti locali.

Tuttavia la metà degli intervistati lamenta la mancanza di informazioni sufficienti a fare scelte davvero sostenibili. Ciò sottolinea la necessità di trasparenza.

3) ResearchGate (2022)

A proposito di trasparenza, qui si esplora il suo impatto attraverso due esperimenti. La trasparenza da parte dell’azienda sui costi (ad esempio per i materiali e la manodopera) aumenta l’autenticità percepita, con effetti positivi su fiducia, atteggiamento verso il marchio e intenzioni d’acquisto.

vetro smartphone in mano a cliente mindful marketing

4) Harvard Business Review (2023)

Questo articolo discute come la sostenibilità sia diventata un requisito fondamentale per una fascia sempre più alta di popolazione. I più interessati alla sostenibilità sono ovviamente i giovani, che molto presto domineranno il potere d’acquisto. Quindi una fonte altamente autorevole come Harvard, ci apre una finestra su un trend che già (almeno a parole) conosciamo bene… ma che – più che una semplice tendenza – sembra davvero essere un driver economico sempre più importante.

5) ScienceDirect (2024)

Questo studio è il più specifico. ScienceDirect è andata ad analizzare 104 messaggi Instagram del brand Patagonia e 5541 risposte degli utenti. In queste, sono state identificate otto tipi di reazioni, che vanno dal supporto all’accusa di greenwashing. Dai dati si evidenzia come una comunicazione autentica rafforzi l’engagement e la fidelizzazione. Questo – ancora – a patto che ci sia coerenza: altrimenti diventa una pericolosa arma a doppio taglio.

6) Mintel (2024)

Il rapporto si basa su un sondaggio di 10.000 consumatori di 10 paesi che sono:

  1. Stati Uniti
  2. Regno Unito
  3. Brasile
  4. Francia
  5. Germania
  6. Italia
  7. India
  8. Cina
  9. Giappone
  10. Spagna

Secondo le risposte, si rivelano crescenti preoccupazioni per il cambiamento climatico, la qualità dell’aria e le risorse idriche. I consumatori quindi cercano efficienza energetica, riduzione dei consumi, ma diffidano di claim aziendali non supportati.

4 motivi pratici per abbracciare il Mindful Marketing

Come abbiamo visto, il Mindful Marketing non è solo questione di etica e di indorare la pillola con belle utopie. Diventa piuttosto un fattore di distinzione (e distensione): una base per costruire relazioni durature con i proprio clienti, vedendo schizzare le interazioni (che fanno parlare del marchio), la reputazione e la fidelizzazione. Non solo dei consumatori.

mano che fa ok nel sole mindful marketing

Un approccio del genere infatti apre a partnership strategiche, che possono offrire diverse opportunità lavorative e progettuali. Inoltre, concentrarsi sulla sostenibilità e su D&I apre l’accesso a bandi veramente interessanti, che potrebbero sostenere gran parte dei costi di un sito web o di un software.

1) La trasparenza non ti mette in difficoltà

Comunicare apertamente ingredienti, processi produttivi e politiche aziendali rafforza la fiducia dei clienti. Nessuno è perfetto e non c’è niente di male ad ammetterlo, anzi. Cercare di fare credere il contrario per apparire autorevole, prima o poi ti farà scoppiare.

Essere trasparenti (soprattutto quando si ha da perdere) può sembrare una scelta stupida. Ma se si fa in maniera intelligente, eviti che ti si accumuli sporcizia sotto al tappeto che prima o poi potrebbe uscire fuori con effetti tanto devastanti quanto il tempo in cui si è tenuto il segreto.

La mancanza di trasparenza è una bomba a orologeria.

2) L’autenticità stimola la creatività

Essere autentici significa essere allineati. Quindi oltre ad avere a che fare con l’originalità, riguarda la genuinità di quello che comunichi. Usare narrazioni costruite (o copiate di sana pianta) per attrarre clienti diventa pericoloso se la tua impresa non è davvero allineata ai valori che comunichi.

È meglio essere autentici solo per questo motivo? No. Ricercare la coerenza rispetto alla propria identità aziendale, ti stimola a ragionare trovando spunti per innovare prodotti, servizi e comunicazione. Fattori che ti faranno distinguere e che ti faranno amare il tuo lavoro.

Fondersi con la massa, copiare strategie altrui, fingere valori non tuoi ti porta a campagne piatte: uno spreco di denaro ed energie per risultare invisibile, asettico o losco.

3) La sostenibilità fa crescere e paga nel tempo

Ve lo ripetiamo: non si tratta solo di essere “green”. Qua parliamo di sostenibilità comunicativa e operativa. Evitare spam e sovrastimolazione rispetta il cliente, che ti premierà. Scelte etiche (come la scelta di materiali sostenibili e salari equi) attraggono le persone che si interessano, ma soprattutto partner aziendali e istituzionali.

Che fai? Bruci tutto? Essere insostenibili è come accendere un falò per tutte queste opportunità: bruci fiducia, fondi e futuro.

4) Il rispetto paga

Rispettare il cliente significa ascoltarlo, evitare messaggi invasivi e rispondere alle sue esigenze. Ciò crea una connessione emotiva che incoraggia a diventare spontaneamente il cliente ambasciatore del tuo brand. E poi sappi che neanche i giganti possono permettersi di alzare la cresta.

Infatti neppure i grandi brand sono immuni alle conseguenze del mancare di rispetto. Pensiamo a Facebook, travolta da class action per violazioni della privacy, con multe miliardarie. Oppure a Nike, che negli anni ’90 venne messa sotto la lente dell’opinione pubblica e delle nazioni per le condizioni di lavoro inaccettabili e che si è dovuta riformare spendendo un sacco di soldi e rischiando un danno permanente alla propria immagine.

Quanti, vissuti negli anni ’90, presumono ancora che Nike faccia cucire le scarpe ai bambini del terzo mondo?

Nessuno può permettersi di ignorare il rispetto per sempre.

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