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Ma davvero l’IA sostituirà i copywriter?

Qui trovi brutte e cattive notizie: dipende da chi sei. Per capirci qualcosa, approfondiamo i 4 motivi per cui l'IA potrebbe sostituire i copywriter e i 4 motivi per cui il copywriter è insostituibile. Vediamo come IA e copywriter si rapportano tra loro, con i clienti, con gli utenti e con i motori di ricerca. Andiamo oltre la "sostituzione".
29 Maggio 2025

Chi è il copywriter? È il professionista della scrittura orientata alla vendita, alla promozione, alla persuasione e all’indicizzazione sui motori di ricerca. Quindi, qualsiasi testo tu veda nel titolo di un risultato di ricerca su Google, qualsiasi frase formulata su una landing page o su un’e-commerce, vengono dalla mente, dalla conoscenza e dall’esperienza di un copywriter.

Sembra quasi vero…

vecchio perplesso scruta robot

Dietro a un testo sul web non c’è sempre la mano di un copywriter

Oggi non è sempre detto che i testi che vedi siano scritti da un essere umano. Certo: come minimo spesso è un responsabile umano a caricare i contenuti scritti dall’IA su WordPress e affini. È sempre una persona a dare il prompt (ovvero il comando scritto) al modello di intelligenza artificiale generativa. Ma non sempre questi contenuti vengono ricontrollati e ottimizzati dallo stile, dalla conoscenza e dalla professionalità del copywriter.

E in più, ricordiamo che le opzioni di automazione per la creazione di contenuti e della loro pubblicazione, sulla carta permettono addirittura di bypassare ogni volta la costruzione di un prompt specifico e la cura della pubblicazione.

Ma questo ai motori di ricerca sta bene? E alle persone?

4 motivi per cui l’IA potrebbe sostituire i copywriter

Ho delle buone e delle cattive notizie: quali vuoi sentire prima?

Se hai una PMI e vuoi risparmiare tempo e denaro sul breve termine, il contenuto di questa sezione potrebbe essere una buona notizia. Altrimenti, se sei un copywriter o una persona particolarmente sensibile alla disputa umani vs IA… hai già capito.

Qualsiasi sia il tuo caso o il tuo sentimento al riguardo, ti invitiamo a esercitare l’obiettività. Dal lato professionisti, tieni presente che secondo un sondaggio di seoclarity.net l’86% degli specialisti SEO presi in esame utilizza strumenti di IA per generare contenuti. Occhio che quando parliamo di sondaggi e statistiche, non abbiamo a che fare con comandamenti incisi nella pietra.

Parliamo di dati parziali – va bene – ma comunque indicativi di una tendenza: i professionisti stessi vedono nell’IA un alleato. E questo già dovrebbe calibrarci rispetto al concetto di sostituzione.

1) L’IA è velocissima

C’è poco da fare: l’IA generative, anche quelle discretamente performanti, creano testi, fanno ricerche e propongono elaborazioni con una velocità allucinante. In pochi secondi, macinano quantità di testo che un copywriter impiegherebbe ore a realizzare (o giorni, se ha bisogno di studiare e riflettere). Quindi, se per esempio una PMI che ha sito web ed e-commerce deve scrivere 100 schede prodotto, 20 articoli per il blog e vuole avere tutto in due giorni, oggi può ottenerle senza aspettare un copywriter (o senza schiavizzarne uno a prezzi ridicoli su Upwork).

E la qualità? E i costi? Ci arriviamo…

2) L’IA è low cost

Non c’è dubbio che un abbonamento a ChatGPT o a Grok (e sono solo due esempi) costi decisamente meno di un copywriter, sia sul breve che soprattutto sul lungo termine. Un lupo solitario o un’impresa appena nata qualsiasi, con 23 euro al mese si fa l’abbonamento a ChatGPT Plus (tanto per dirne una) e ha a disposizione una marea di possibilità in termini di generazione di contenuti, ottimizzazione strategica SEO e SEA e struttura comunicativa.

Quindi, solo scrivendo prompt, si ha accesso a tutte queste possibilità. Certo, c’è un mondo dietro ai prompt, ma non è sempre detto che è necessario conoscere profondamente questo mondo per avere risultati bastevoli rispetto a certi contesti e necessità.

3) I modelli di IA sono scalabili

Lo stesso modello di IA può soddisfare necessità crescenti nel tempo. Oggi ti servono 10 articoli al mese? Sei coperto. Domani te ne servono 100 che siano ottimizzati SEO e per ognuno hai bisogno delle caption per diversi social, di idee e materiale per sponsorizzate e dei contenuti per la newsletter?

Sei coperto lo stesso, spesso allo stesso prezzo.

4) L’intelligenza artificiale si può usare per l’ottimizzazione SEO

Attenzione: qui entriamo in un campo minato.

È difficile stabilire se le ottimizzazioni SEO proposte dai vari strumenti di IA siano validi in ogni situazione oggi e in futuro. E come si fa a stabilire se lo sono? Qua non parliamo solo di qualità stilistica e contenutistica. Qui parliamo di algoritmi che codificano i contenuti in base a tantissimi fattori combinati. Quindi parliamo spesso di studi, osservazioni, tentativi e calcoli. Tutte cose che in una certa misura l’IA è creata apposta per fare al posto degli essere umani. Anche qui: il prompt è fondamentale. Banalmente è sempre una persona a premere l’interruttore della macchina.

E intanto, almeno secondo i dati di Originality.ai (autorevole detector di contenuti scritti da AI) un buon 19% dei risultati in prima pagina è generato con IA. Il 5 Marzo 2024 la percentuale era del 7,43%. Questo ci indica sia un aumento dell’utilizzo di strumenti AI e il loro miglioramento, ma anche che le linee di Google (come gli EEAT) non riescono evidentemente a fermare la tendenza.

Ma come le scale di Hogwarts… all’algoritmo di Google piace cambiare.

le scale di hogwarts nel film harry potter

4 motivi per cui i copywriter sono insostituibili

Se hai paura dell’ascesa dell’IA, dopo aver letto questo paragrafo potrai dormire sonni relativamente più tranquilli. Ma sempre con un occhio aperto (che non guasta mai). Qui approfondiamo il concetto visto prima incluso nel prompt, cioè: dietro a una generazione artificiale, c’è un essere umano che ha dato un comando e che può manipolare l’elaborazione sia scrivendo altri prompt, sia lavorando la “materia grezza” a mano.

Oppure può dare tutto in pasto a modelli diversi, creando irriconoscibili combinazioni. In ogni caso deve essere presente col cervello: nessun modello di IA, ancora, si sveglia la mattina e decide di creare contenuti senza ricevere comandi umani.

1) Qualità e attendibilità: il copywriter umano controlla i risultati e si pone le domande giuste

Molti clienti (e alcuni utenti) verificano con i diversi strumenti (anche gratuiti) di AI detector. E c’è sempre lo spettro di Google che da un giorno all’altro potrebbe svegliarsi e confinare nei meandri più oscuri della SERP un contenuto anche solo sospetto di essere stato generato con IA.

Questi due aspetti (umano che elabora/organi che sorvegliano) ci suggeriscono che l’umano rimane insostituibile per avere un risultato attendibile, di qualità e che dia la sicurezza di non avere problemi né oggi né in futuro.

Se questa persona è un copywriter, la situazione diventa ottimale.

2) Il copywriter umano è dotato di varie intelligenze naturali

L’intelligenza analitica non è la sola forma di intelligenza che abbiamo a disposizione per interagire con la realtà e interpretarla. Se ci servisse solo quella per vivere, agire e lavorare, con le capacità dell’intelligenza artificiale saremmo tutti sostituibili. E invece, l‘essere umano ha dalla sua un dinamico sistema di intelligenze diverse: analitica, emotiva, motoria, empatica… che a seconda della situazione, della personalità o degli umori del giorno si intersecano, entrano in conflitto, si compensano.

È negli intervalli tra questi scambi di ottiche che risiedono le opportunità di cogliere segnali che una macchina non riesce a interpretare in quella precisa sequenza e in relazioni a quei determinati stimoli. È in questa molteplicità unica, che nascono variabili imprevedibili.

Ed è dai conflitti tra le nostre varie parti che si genera terreno fertile per la…

3) … creatività da vendere, per vendere

Avere tante idee significa essere creativi? Non necessariamente. Un modelli di IA ci può proporre migliaia di idee nel giro di ore, senza stancarsi mai (in teoria), ma questo non significa che sia creativa. Le risposte che ci dà l’intelligenza artificiale sono orientate a fornire le elaborazioni più statisticamente probabili rispetto al prompt che le abbiamo dato. Quindi abbiamo l’illusione che l’IA sia creativa, quando in realtà siamo noi che interrogandola andiamo a pescare (più o meno consapevolmente) da miliardi di informazioni.

Se non si hanno idee, per farsi dare spunti utili bisogna metterci un pizzico di creatività nel prompt. Spesso molto di più. Il copywriter, che è abituato a trovare strade comunicative in relazione al mercato, al target, all’attualità, ai bisogni comuni e dei clienti, rimane sempre il direttore creativo.

sagoma copywriter che veglia sulla città

E se scrive per te dei contenuti, in una dinamica di lavoro collaborativo, il copywriter non si limita a eseguire il compitino meccanico come fa un’IA. Ti mostra le strade che puoi percorrere attraverso le sue proposte, le quali possono orientarti anche verso:

  • scelte di design,
  • di UX e UI,
  • realizzazione di foto e video,
  • struttura della brand identity,
  • chiavi comunicative da utilizzare anche al di fuori dal web,
  • sistemi di comunicazione interna per ottimizzare i processi aziendali.

Perché il copywriter ti stimola a focalizzare più precisamente i tuoi valori. Ti aiuta a scolpire una forma maggiormente definita della tua immagine. Insieme ai suoi contenuti scritti, ti fornisce fattori di differenziazione, identità e comunicazione che favoriscono la brand awareness, cioè la riconoscibilità, il ricordo e l’associazione spontanea tra “prodotto” e “tuo brand”.

Insomma: sostanza che serve a lavorare meglio e vendere di più.

4) Il copywriter non ha bisogno di domande (e di prompt)

Dire questo è come prendersi una licenza poetica, ma da un certo punto di vista, e in alcuni casi, è vero.

Molti clienti vengono solo con l’idea del risultato:

voglio che mi scrivi contenuti per farmi piazzare su Google“, “scrivimi i contenuti per la landing“.

Ed è naturale che sia così, dal momento che sta pagando apposta per non trovare da solo le idee. Sennò, i contenuti se li scriverebbe da solo o userebbe l’IA… ma se non sa quali domande porre, rischia di perdere un sacco di tempo e di ricevere in cambio risultati impersonali, inefficaci e certe volte pure controproducenti. Piuttosto, può investire in un copywriter. Così guadagna il tempo per gestire la sua attività… o andarsene al mare con la tranquillità che il risultato è in buone mani.

Il copywriter non ha bisogno di domande in questo senso. Al contrario, è la figura che sa porle per trovare le risposte più utili sia per la realizzazione dei contenuti, sia per aprire strade al cliente. Che magari – per osmosi – troverà nuove maniere di porre domande, trovando soluzioni innovative nel suo ruolo.

Ma le persone riconoscono i contenuti scritti da IA? Si fidano?

Finora abbiamo parlato di professionisti, clienti e dei motori di ricerca. Ora dedichiamo attenzione agli utenti. Cioè alle persone che effettivamente leggono i contenuti scritti su una pagina web. Innanzitutto, statisticamente, in Italia, la gente ha gli strumenti cognitivi e culturali per distinguere se un contenuto è stato copiato e incollato da ChatGPT o se è stato scritto da una persona? E questi contenuti risuonano con loro? Li convincono?

Purtroppo, non ci sono sondaggi al riguardo fatti in Italia, ma studi internazionali offrono indizi.

Secondo uno studio del 2023 di ToolTester, solo il 46,9% degli statunitensi presi in esame identifica correttamente i contenuti generati dall’IA. Un po’ a sorpresa, sembra che gli over 65 siano più precisi.

L’80% delle persone prese in esame, vuole trasparenza rispetto ai contenuti generati dall’IA, e il 71,3% perderebbe fiducia nei brand torbidi in questo aspetto.

Secondo invece un sondaggio globale di KPMG più recente – del 2025 – solo il 46% delle persone si fida dei sistemi IA.

Questi due studi da soli chiaramente non bastano a rispondere alla domanda, ma – come prima – sono dati indicativi.

L’IA può sostituire solo alcuni copywriter

Secondo noi, solo alcuni copywriter possono essere sostituiti da un modello di IA. Cioè, i copywriter che non offrono valori aggiunti chiari per il cliente e i collaboratori rispetto a un’esecuzione meccanica. Che in alcuni casi può svolgere benissimo il suo ruolo nella vendita: è inutile negarlo. Una scheda prodotto ad esempio è già una tappa avanzata di un funnel di vendita. In questa fase non serve condurre l’utente nel fantastico mondo del brand, perché ci è già dentro.

 

Se il cliente vuole 50 schede prodotto, una volta che prende confidenza con i prompt se le può anche fare da solo. Specialmente se il copywriter non offre i suoi servizi profondamente, quindi con una stesura e una formattazione orientate alla massima fruibilità e attraverso altre accortezze che fanno la differenza.

Dettagli determinati, che i professionisti conoscono e usano: sta a loro farli riconoscere ai clienti, affinché ne capiscano il valore. Affinché sviluppino fiducia nel copywriter, vedendolo come un fornitore che vale la pena pagare o come un collaboratore che vale la pena ascoltare.

E intanto, altro che sostituzione: un copywriter può usare l’IA come motore di ricerca avanzato, incrociare le elaborazioni di più modelli e farsi fornire materiale grezzo che raffina fornendo i prompt migliori, dato che ha già le competenze per svilupparli.

Ma anche chi non è un copywriter può imparare a dare i prompt giusti e avere gli stessi risultati. Però deve investire tempo ed energie in tentativi e studio. In più deve domandare all’IA come applicare i risultati che la stessa gli ha dato. E prendersi la briga di agire, col rischio di seguire una via parziale o inesatta, un po’ alla cieca, visto che le IA possono anche sbagliare.

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