La sostenibilità digitale come abbiamo visto non si riduce esclusivamente all’impatto ambientale del web, ma tocca anche aspetti sociali e psicologici, affrontando temi come la salute mentale, la cultura di massa e l’inclusività.
Oggi qui ci ritorniamo sui dati più critici, ma senza l’intento né di denunciare, né di lamentarci, né di spaventare, ma ricorrendo allo strumento più importante che può tutelarci ed emanciparci: la conoscenza. Noi vogliamo focalizzarci sulle soluzioni che si stanno provando, comprendendo che nella storia dell’umanità non c’è mai stato nulla come il web. Quindi è normale che, anche se diffuso massivamente, il web ha sempre bisogno di essere riscoperto e riadattato.
Allora oggi vi dimostriamo che l’insostenibilità del web è un problema reale, ma ancora si può evitare.
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Quadro complessivo sulla sostenibilità del web
I grandi data center consumano circa il 3% dell’energia mondiale e producono il 2% delle emissioni globali di CO₂ (fonte IEA). Cifre destinate a salire vertiginosamente nei prossimi anni, secondo diverse altre fonti e da più punti di vista.
Uno studio del 2023 pubblicato da arXiv prevede infatti che i data center globali potrebbero consumare il 20% dell’elettricità mondiale e contribuire fino al 5.5% delle emissioni di carbonio entro l’anno che sta arrivando. Intanto il divario della digitalizzazione lascia comunque un buon terzo del mondo senza infrastrutture digitali, penalizzando intere economie e culture (fonte World Bank).
Ed è qui che la situazione si complica, proprio andando alla ricerca delle sue soluzioni.
Sì, perché le risposte si cercano nella costruzione e nell’innovazione, che però viene promossa principalmente da multinazionali, le quali accusano sempre più i colpi dell’opinione pubblica in cerca di risposte riguardo la trasparenza di politiche e operazioni necessarie. Il tutto, mentre fioriscono problematiche psicologiche e psichiatriche associate a una diseducazione sul web, con un significativo impatto culturale. Impatto che a volte genera esclusione a più livelli.
Cosa possiamo fare per dipingere diversamente questo quadro?
Le risposte dell’innovazione: decentralizzazione e AI
Il Web 3.0, la blockchain e l’intelligenza artificiale hanno il potenziale per proporre soluzioni serie.
Ma, come spesso accade, potrebbe essere una coperta corta.
Il Web 3.0 propone la decentralizzazione per migliorare l’autonomia degli utenti e favorire la sostenibilità economica e sociale attraverso un web più democratico e modelli di business più equi. Tuttavia rischia di moltiplicare i server necessari, aumentando i costi energetici. Infatti la blockchain, tecnologia sulla quale si basa la decentralizzazione, intanto è già nota per il suo elevato consumo energetico: ad esempio la rete Bitcoin da sola consuma circa 86 TWh all’anno, pari al fabbisogno di un’intera nazione come il Belgio (Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index).
Per questo si sta lavorando principalmente al meccanismo di consenso chiamato PoS.
E anche l’AI ha un doppio volto: se da un lato anche lei consuma energia considerevole per l’addestramento dei modelli, dall’altro può ottimizzare processi industriali e ridurre sprechi. Ad esempio, Google ha utilizzato l’AI per migliorare l’efficienza dei suoi data center riducendo il consumo di energia del 30%.
Questo non è ancora abbastanza, soprattutto perché c’è ancora un divario digitale che va colmato. Ma le Big Tech non possono fare tutto da sole e nemmeno le persone con le loro abitudini. I consumi energetici crescono e continuano a crescere: la via è nella ricerca di alternative più pulite. Almeno da parte delle grandi multinazionali vediamo investimenti sul nucleare avanzato, sull’energia solare, eolica, su sistemi di raffreddamento innovati e sull’idrogeno verde. Con la loro influenza, potenzialmente, potrebbero direzionare gli investimenti delle nazioni su tali tecnologie o finanziare loro stesse progetti.
Soluzioni per la sostenibilità sociale: sovranità dei Paesi, inclusione digitale e cultura consapevole
La sostenibilità digitale non riguarda solo la grande criticità energetica, ma è profondamente intrecciata con aspetti sociali e culturali. Anche loro meritano attenzioni e ricerca di soluzioni.
La sovranità digitale è una risposta, perché colma il divario digitale tra le nazioni consentendo a Paesi e comunità di controllare i propri dati e infrastrutture. Iniziative come l’e-Residency dell’Estonia provano a dimostrarlo, ma richiedono impegno politico, tecnologico ed economico. Dispendiosa sovranità legata con l’inclusione digitale delle varie fasce sociali di ogni popolazione, che alimentano disuguaglianze in termini di accesso all’istruzione, al lavoro e a servizi essenziali.
Le risposte qui risiedono in parte nel lavoro dei tecnici.
Un design inclusivo degli strumenti e delle piattaforme favorisce l’appianamento delle differenze. Inclusione che contribuisce all’impatto culturale del web, che influenza comportamenti e stili di vita. Intervento al quale va associata un’educazione digitale, senza la quale si continuerà a correre incontro ai già noti casi di isolamento sociale, di polarizzazione e dipendenze psicologiche.
Tutto questo si può fare se ognuno fa la sua parte: le singole persone con le loro scelte, le multinazionali con le loro proposte e finanziamenti, e le nazioni incentivando, monitorando e regolamentando.