Ovviamente non stiamo parlando dei grafici su Excel. Designer, illustratori, artisti, grafici di tutto il mondo, di ogni settore specifico e a qualsiasi livello di competenza, oggi possono sentirsi minacciati dalle capacità dei modelli di intelligenza artificiale generativa. E possono farlo a buon ragione.
Infatti, ormai, con i giusti prompt e con una buona dose di tentativi, è possibile farsi dare risultati dall’IA che agli occhi di molti non addetti ai lavori appaiono umani. Quindi chiunque si occupa di marketing digitale o ha un’azienda che necessita di vari prodotti grafici, potrebbe risparmiarsi di cercare e ingaggiare professionisti grafici.
Ma è sempre così? L’IA sta facendo veramente concorrenza ai grafici? I professionisti oggi hanno davvero motivo di temere i modelli di IA generativa?
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Diamo un’occhiata ai dati: quante aziende in Italia stanno utilizzando IA per sostituire i grafici?
È complicato risalire in maniera specifica a chi sta utilizzando l’IA generativa esclusivamente per l’esecuzione di lavori grafici. Però, da diverse fonti come osservatori.net e agendadigitale.eu, possiamo risalire a quante aziende, in Italia, stanno adottando l’AI.
Sappiamo che nel 2024, il mercato dell’intelligenza artificiale in Italia ha raggiunto il valore di 1,2 miliardi di euro, dimostrando un aumento del 53% rispetto al ‘23. Di questa percentuale, un 43% si riferisce ai modelli di IA generativa, che include lavori grafici, di copywriting o di programmazione. In più – dato curioso e indicativo – sappiamo che il 53% delle grandi imprese italiane ha già acquistato licenze per strumenti di IA generativa, superando Francia, UK e Germania.
Peccato (o per fortuna) che solo circa il 6% delle aziende investe parallelamente in formazione del personale.
Quindi i grafici possono tirare un sospiro di sollievo? Con qualche riserva.
È possibile avere buoni risultati grafici dalle IA generative senza una formazione?
Ok: tantissime aziende non hanno idea di come dare comandi (prompt) adeguati ai modelli di IA generativa. Però è altrettanto vero che molti modelli (soprattutto quelli a pagamento) riescono a dare risultati di qualità con prompt generici. Ma ci vogliono tanti tentativi e un pizzico di occhio critico, che non tutti hanno. Il risultato quindi, con un prompt generico e con mancanza di sguardo tecnico, può diventare imbarazzante (e i grafici gongolano).
In soldoni dunque, il prompt è molto importante. Questo perché le IA tendono a dare i risultati più statisticamente probabili rispetto alla richiesta (prompt) effettuata dall’utente. Considerando che i modelli attingono a miliardi di dati, e devono risparmiare il più possibile energia computazionale, se dai loro prompt generici o poco chiari, tenderanno a dare risposte impersonali e insoddisfacenti.
Quindi da una parte abbiamo l’eventualità di avere risultati di qualità anche con prompt generici; dall’altra la certezza che, più il prompt è specifico e chiaro, migliore sarà il risultato. E non è una contraddizione. Sono fatti che coesistono e che possono confermarsi o meno a seconda della specifica situazione.
Allora per capirci qualcosa di più in senso generale dovremmo interrogarci sulla percezione che ne hanno gli utenti e sui loro standard. Poi – ti chiarisco già da subito – ci sono nette differenze settoriali e di target che vanno a determinare se un prodotto grafico generato dall’IA sia valido o meno. E questa esplorazione, va fatta con la pratica e con studi di mercato. A partire dall’osservazione della concorrenza, fino a sondaggi per gli utenti.
Le persone riconoscono i prodotti grafici generati dall’IA? Si fidano di questi prodotti?
Anche qui abbiamo a disposizione dati generali, che possono essere indicativi ma mai definitivi per ogni singola fetta di mercato.
Intanto, secondo uno studio del 2024 condotto dall’Università di Waterloo, soltanto il 61% delle persone prese in esame ha distinto correttamente tra prodotti grafici fatti dagli esseri umani e quelli fatti da intelligenza artificiale. Un risultato più basso rispetto alle aspettative, che è destinato a calare dal momento che le capacità generative aumentano di continuo.
Se poi l’evoluzione dell’IA sia o no una curva crescente è tutto da vedere: basti sapere che oltre a criticità energetiche c’è anche il dilemma dei dati sintetici, che potrebbero compromettere l’affidabilità dei risultati generati dalle IA nel prossimo futuro, se questi venissero adottati in massa all’esaurimento di materiale reale su cui le macchine si addestrano.
Chiusa parentesi, le persone generalmente dichiarano di non fidarsi dei contenuti generati dalle IA. Infatti, secondo uno studio Deloitte, il 70% delle persone che conoscono e utilizzano IA generative credono che i contenuti generati con IA rendano più difficile fidarsi di ciò che si vede online.
Quindi c’è minore fiducia nei brand che utilizzano IA generativa?
Almeno sulla carta, sì. Infatti, sempre secondo Deloitte, il 68% delle persone prese in esame vede i contenuti generati da IA con netta sfiducia, associandoli a truffe e inganni. E, secondo questo report di Getty Images, addirittura il 90% delle persone prese in esame desidera trasparenza totale rispetto ai contenuti generati con IA. Quindi almeno in teoria la gente vuole sapere cosa ha davanti… anche se, purtroppo, spesso non ha gli strumenti per comprenderlo profondamente.
E allora è tutto un gioco a “non farsi beccare”?
Dall’efficienza alla sostanza: il vero nodo della questione
Quindi abbiamo prodotti grafici generabili da IA a velocità impressionante e a costi minori, che spesso le persone non distinguono dai contenuti creati da grafici umani. Alla luce di questo, possiamo davvero affidarci a queste tecnologie per sostituire il lavoro dei grafici umani?
Allora: è innegabile che l’IA offra vantaggi tangibili in termini di rapidità, volumi e accessibilità. Ma quando si parla di identità visiva, la questione non è solo operativa, ma profondamente creativa e strategica.
Un logo ben fatto non è solo un disegno carino o accattivante: comunica valori, posizionamento nel mercato ed è un elemento che parla anche a un determinato target. Contribuisce alla definizione (o alla coerenza) di un’identità di brand ed è un cruciale fattore di riconoscibilità, misurabile attraverso la brand awareness.
Questo è ciò serve a un marchio da un lavoro grafico.
Un algoritmo, per quanto evoluto tecnicamente, può davvero sostituire la sensibilità estetica, la comprensione del contesto culturale, la contestualità proprio, e il pensiero laterale di un designer esperto? E soprattutto, il valore percepito del brand cambia se il suo volto grafico nasce da una macchina piuttosto che da una mente umana creativa?
È su queste domande che si gioca davvero il confronto: tra efficienza e sostanza.
IA vs grafici: cos’è la qualità?
Il confronto tra un grafico umano e un modello di IA generativa quindi non è solo una questione di competenza tecnica, ma soprattutto di profondità progettuale.
È su questa che si basa la qualità.
IA come Midjourney o DALL-E, eccellono per esempio nella generazione rapida di varianti visive basandosi su prompt testuali ed enormi volumi di dati pre-esistenti. Le loro generazioni, possono ispirare e proporre concept interessanti, ma non dovrebbero mai essere prese e usate così come sono, al di là della loro qualità apparentemente alta.
Perché la qualità non è pura esecuzione basata su correlazioni. La qualità grafica è adattamento, apertura nei confronti dell’intuizione: sapere quando infrangere le regole. Cosa che una macchina, anche se le viene chiesto, non può fare. Perché sarebbe paradossale. Perché un prompt è una “regola” che dai all’IA, senza la quale questa non genera contenuti.
L’IA può sostituire solo alcuni grafici (e solo per alcuni compiti)
L’IA riesce a replicare con efficacia operazioni ripetitive, grafiche standardizzate, contenuti di basso impatto creativo o richieste di rapida esecuzione: aree dove il valore aggiunto umano è minimo o dove il fattore tempo è prioritario. In questo senso, può già rimpiazzare o ridurre il carico di lavoro di figure junior o operatori grafici focalizzati su compiti puramente esecutivi.
Ma chi lavora nella progettazione strategica, nel branding o nel design emozionale, si muovo nel campo della creatività, dell’intuizione, dell’empatia e della visione.
L’IA in questo senso può diventare un’estensione del talento, un’assistente: non un’alternativa. Non la fine, non la sostituzione… sempre che non si realizzi il sogno (o l’incubo) dell’IA generale!