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Il traffico organico crolla: ma è davvero un problema?

Ultimamente si parla sempre più spesso della fine del traffico organico: ma è il caso di essere così apocalittici? Le statistiche delle piattaforme di monitoraggio SEO, l’aspetto e le funzioni stesse dei motori di ricerca oggi ci suggeriscono che qualcosa è cambiato profondamente: i grafici scendono, i clic diminuiscono, la SERP si riempie di risposte automatiche, box, riepiloghi generativi… e la gente si fa bastare riassunti senza approfondire.

Chi lavora con la SEO o investe in contenuti se ne sta rendendo amaramente conto: a parità di posizionamento sui motori di ricerca, il traffico organico non è più quello di prima. E allora come vale la pena reagire? Bisogna cambiare totalmente punto di vista e modo di lavorare? Piazzarsi su Google è diventato inutile? Il traffico organico è un KPI dell’antichità?

Capiamolo senza paura e senza cadere in estremismi.

geroglifici traffico organico

La tentazione di dare la colpa all’intelligenza artificiale

Su questo articolo ne abbiamo già parlato: l’intelligenza artificiale è entrata a gamba tesa nei motori di ricerca. Individuare la famosa GEO – ovvero l’ottimizzazione per le IA generative – esclusivamente come nemico del traffico organico però è rischioso. Non perché sia un’interpretazione del tutto falsa: ma perché è incompleta e fuorviante.

Infatti il traffico organico non sta morendo: sta cambiando ruolo, peso e significato. Quindi non vale la pena reagire come se fossimo in lutto o pensare che le intelligenze artificiali stiano uccidendo indiscriminatamente il traffico organico: infatti da dove ti pensi che elaborano le proprie risposte e i propri riassunti le intelligenze artificiali? Proprio dai contenuti piazzati meglio e più completi.

Ma allo stesso tempo bisogna guardare in faccia la realtà e convincerci che il traffico organico non è più la metrica principale per valutare l’efficacia di un progetto digitale di qualsiasi tipo.

Quindi che fine sta facendo il traffico organico?

Il traffico organico è diminuito e sta diminuendo universalmente. Non si tratta di una sensazione diffusa tra gli addetti ai lavori né di una condizione soggettiva. La questione va avanti già dal 2019, da prima delle intelligenze artificiali generative e quindi della GEO.

In questo studio pubblicato da SparkToro proprio 6 anni fa ad esempio vediamo come già da tempo si notava che oltre la metà delle ricerche su Google non generava clic verso siti esterni. Questo significa che l’utente trovava già ciò che cercava direttamente nella pagina dei risultati: senza cliccare su nessun risultato. Un fenomeno questo che si è accentuato con i vari riassuntini fatti dall’IA e con gli snippet. E così calano CTR anche di query stabili. Quindi il contenuto piazzato organicamente rimane visibile, ma viene “assorbito” dalla risposta generata, che intercetta l’attenzione prima che l’utente clicchi.

La stessa Google – nei documenti ufficiali rivolti ai creator – anche se ci dice che “le AI overwievs sono un punto di partenza per approfondire il contenuto” in realtà ci chiarisce e ammette indirettamente quanto ti sto scrivendo: le nuove esperienze di ricerca possono portare a ottenere una risposta senza visitare il sito di origine. Era palese ed è confermato e risaputo oggi.

L’IA non ruba traffico organico

L’intelligenza artificiale nei motori di ricerca funziona come un livello di intermediazione aggiuntivo: analizza, sintetizza, combina fonti diverse e restituisce una risposta che soddisfa una parte (sempre più ampia) del bisogno informativo.

La GEO quindi non introduce il problema del calo del traffico organico ma lo rende evidente: il contenuto viene sempre più spesso utilizzato prima del clic. E questo problema non è dovuto direttamente all’intelligenza artificiale, perché già da prima era possibile leggere – ad esempio – la meta description di un articolo e fermarsi lì. La responsabilità di questi strumenti e del loro utilizzo sta nel rendere sempre più facile ottenere risposte senza approfondire: ma questo è abbastanza per dire che siano la causa?

La risposta può esaurirsi prima del clic

Sì: ci sono i mezzi per renderlo possibile – già da anni – e se tanti utenti si accontentano di un riassunto non è colpa soltanto e direttamente di OpenAI o di Google. Al limite possiamo parlare di responsabilità parziale e di complicità verso la dinamica.

Infatti il mercato è creato anche dagli utenti e dai fruitori. Così l’unione delle preferenze di consumo  con le innovazioni tecnologiche ha reso il traffico organico ormai non più il passaggio obbligato tra domanda e contenuto, ma una scelta dell’utente quando la risposta generata non è sufficiente. E questo bisogna accettarlo, che ci piaccia o no.

Visibilità informativa e contenuti che hanno molto da dire

In questo panorama il traffico organico quindi diventa un indicatore ancora più evidente di un reale interesse e coinvolgimento dell’utente, ma anche della validità del contenuto: infatti se l’utente può trovare le risposte al volo ma approfondisce proprio il tuo contenuto, significa che ha davvero bisogno di farlo. Se permane nel tuo contenuto, significa che hai fornito un livello di dettaglio superiore. Hai meno visite di prima, ma sono più consapevoli e alla luce di questo potrebbero convertire di più.

Quindi spazio per contenuti approfonditi ancora c’è ma è piccolo. La maggior parte è occupato dallo spazio di visibilità informativa, che segue paradigmi di piazzamento precisi, i quali però possono essere applicati all’interno di un contenuto più lungo e dettagliato.

Perché continuare a misurare solo il traffico organico è un errore

Il problema centrale quindi non è il calo del traffico organico di per sé ma il fatto che venga ancora trattato come una metrica principale – spesso l’unica – per valutare l’efficacia di un progetto digitale.

Il traffico organico infatti (ed è sempre stato così) è una misura quantitativa NON qualitativa. Ti dice quante persone arrivano su una pagina, ma non spiega perché ci arrivano, cosa hanno già compreso prima di farlo, né quale valore sia attribuito al contenuto dalla visita. Prima fare questa approssimazione poteva relativamente funzionare, anche se per esempio veniva scambiato come un buon frutto del proprio lavoro SEO lo scalping dei copywriter.

Oggi è un errore grave perché significa ignorare la realtà dei fatti: l’intento della query si può soddisfare senza cliccare da nessuna parte ormai. Il rischio sta nel spingere nella produzione di contenuti sempre più cliccabili ma poveri di sostanza o/e nell’abbandonare progetti validi perché non generano volumi di traffico organico previsti.

In entrambi i casi il problema non è la SEO di per sé o l’IA cattiva: è la metrica scelta.

Il nuovo ruolo del traffico organico

Il traffico organico non è più una metrica definitiva per misurare il successo complessivo di un progetto. Ma questo non significa che abbia perso valore.

Semplicemente, il suo ruolo è cambiato.

Da indicatore primario di visibilità è diventato un segnale più raro, ma per questo più significativo. Infatti, in uno scenario dominato da risposte sintetiche e intermediazione algoritmica, il traffico organico diventa un indice di un livello di intenzione di ricerca più alto. Chi clicca oggi lo fa perché vuole risposte approfondite, confrontare punti di vista e prendere decisioni informate.

Il traffico diminuisce, ma la soglia di attenzione sale.

Quindi questo a cosa ci porta? A far diventare il traffico organico un parametro qualitativo invece che quantitativo: il contrario di quello che sarebbe dovuto essere.

Cosa dovrebbero fare aziende e professionisti alla luce di questo?

Il primo errore da evitare è reagire al calo del traffico organico producendo più contenuti, inseguendo KW marginali o forzare titoli e formati soltanto per recuperare clic.

Innanzitutto bisognerebbe revisionare le proprie aspettative. Se il traffico non è più garantito, allora va smesso di considerarlo l’obiettivo finale. Per aziende e professionisti ciò significa spostare l’attenzione dalla quantità delle visite alla funzione che ogni contenuto svolge all’interno del progetto: informare, posizionare, qualificare e supportare una decisione dell’utente.

Nel pratico questo significa lavorare meno sulla produzione seriale e più sulla struttura. L’architettura informativa di un sito ad esempio diventa estremamente più importante di un singolo articolo che punta su una KW.

Concepire i contenuti come “fonti”, non come mezzi per intercettare una query

Tutte le linee guida ufficiali e tutto quello che si è fatto finora riguardo alla SEO convergono su uno scopo: intercettare le ricerche.

Oggi questo come abbiamo visto vale molto meno rispetto a prima. Oggi i contenuti che produciamo diventano delle fonti per risposte sintetizzate: fonti citate e cliccabili, che possono essere verificate e approfondite da chi fa una domanda a ChatGPT o a chi legge un riassunto AI su Google.

Non basta più rispondere a domande secche

In questo caso, la tecnologia che sembra impoverire le menti e le ricerche delle persone, in realtà ci sbatte in faccia che la gente ha meno voglia di approfondire e che per rispondere alle domande dirette basta un algoritmo: quindi in cosa puoi continuare a differenziarti?

Alza l’asticella dei tuoi contenuti, offri ragionamenti, contesti, esplicita i processi: offri la tua esperienza. Google già ci sta provando da un po’ proponendo gli EEAT.

Guarda (finalmente) i parametri giusti

Già da prima avresti dovuto guardare altri parametri oltre al traffico organico. Già da prima, valori come:

sarebbero dovuti essere centrali, ben più del traffico organico. Ma oggi sono ancora più importanti, sebbene il traffico organico come KPI possa assumente un valore più qualitativo che quantitativo.

Sempre perché un contenuto non deve limitarsi a essere un mezzuccio per far alzare due numeretti su Analytics, ma deve avere la capacità di sostenere altre attività come vendite, consulenze, branding e relazione con il pubblico (che comprende l’informazione).

SEO e GEO non si escludono: convivono

Quindi mettere in contrapposizione traffico organico e ottimizzazione per le intelligenze artificiali generative non solo è una semplificazione comoda, ma è anche riduttiva.

La GEO infatti presuppone la SEO. Senza risultati piazzati organicamente, l’IA non avrebbe contenuti strutturati, accessibili, comprensibili e affidabili da elaborare. Senza questa base non esisterebbero nemmeno risposte generative di qualità accettabile.

La differenza è che oggi la SEO non si può più pensare come uno strumento per “portare traffico”. Si tratta di un’infrastruttura di visibilità, un lavoro di posizionamento semantico che permette a un contenuto di essere presente anche quando il clic non arriva.

Sì perché il valore del contenuto non coincide più necessariamente con le visite che genera. Migliaia di persone potrebbero leggere un riassunto elaborato grazie al tuo contenuto e trovare risposte senza che tu possa misurarlo. Ma questo non significa che non avvenga.

In questo equilibrio quindi il traffico organico non scompare affatto, ma smette di essere il fine ultimo. Diventa uno dei segnali che indicano quando un contenuto riesce ancora a offrire qualcosa che va oltre la risposta immediata. SEO e GEO dunque convivono nel punto in cui l’ottimizzazione non serve a inseguire l’algoritmo, ma a restare rilevanti anche quando l’algoritmo risponde al posto tuo.

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